Radiologia Interventistica

Procedure avanzate per il trattamento di patologie con tecniche minimamente invasive.

Procedure Radiologia interventistica

Specialista in radiologia interventista per trattamenti minimamente invasivi.

VARICOCELE MASCHILE

Il varicocele consiste nella dilatazione varicosa delle vene testicolari.La via di efflusso del sangue dal testicolo avviene attraverso una serie di piccole vene localizzate nello scroto (plesso pampiniforme). Da qui il sangue refluisce nella vena spermatica interna (vena testicolare) ,che confluisce nella vena renale e vena cava e da qui trasportato sino al cuore. A causa del percorso ascensionale il sangue deve superare un gradiente pressorio, questo, associato ad una congenita debolezza delle pareti venose ed ad una incontinenza delle valvole porta in alcuni uomini allo sfiancamento e dilatazione delle vene attorno al testicolo. Questa dilatazione è definita varicocele. Rappresenta un’affezione relativamente frequente con un’incidenza del 10 -15% nella popolazione maschile. Il varicocele ha una maggiore incidenza a carico del testicolo sinistro. (85%) mentre in minor misura è rappresentato bilateralmente (8 %) o solo a destra (2%). Esiste un'associazione tra varicocele e infertilità. L'incidenza di varicocele aumenta al 30% in coppie sterili. La diagnosi, oltre alla sintomatologia viene fatta mediante la valutazione clinica palpatoria della presenza di varicosità testicolari ma soprattutto con l’ecografia e Eco-Color Doppler.

Diagnostica Ecografica

La diagnosi, oltre alla sintomatologia viene fatta mediante lavalutazione clinica palpatoria della presenza di varicosità testicolari ma soprattutto con l’ecografia e Eco-Color Doppler.

VARICOCELE PELVICO FEMMINILE

Per varicocele pelvico femminile si intende una dilatazione delle pareti delle vene adiacenti all’utero ed alle ovaie.

Queste varicosità si formano a causa di una congenita debolezza delle pareti venose associata ad un’incontinenza delle valvole che non consentono al sangue di superare il gradiente pressorio. Questo comporta lo sfiancamento e dilatazione delle vene attorno all’utero. Questa dilatazione è definita varicocele pelvico detta anche sindrome da congestione pelvica.

Rappresenta un’affezione relativamente frequente con un’incidenza del 10 -15% nella popolazione femminile. Stime recenti sostengono che questa patologia colpisca circa 250 mila donne in tutta Italia, con 10 mila nuovi casi all’anno.

I sintomi sono dovuti sia alla dilatazione delle vene che alla congestione sanguigna nel distretto venoso ovarico.

I più frequenti sono:

- Dolore durante i rapporti sessuali (Dispareunia)

- Dolore durante il ciclo mestruale (Dismenorrea)

- Presenza di varici agli arti inferiori, in sede vulvare e anale.

DIAGNOSI

La diagnosi, oltre alla sintomatologia viene fatta mediante la valutazione clinica specialistica ma soprattutto mediante studio ecografico.

L’esame più importante per la diagnosti è la valutazione Eco-Color Doppler trans vaginale.

EMBOLIZZAZIONE ENDOVASCOLARE

La scleroembolizzazione del varicocele femminile è una tecnica mininvasiva, che al livello internazionale ha pressoché completamente sostituito l’intervento classico di legatura chirurgica.

La scleroembolizzazione si esegue accedendo al torrente vascolare venoso mediante la puntura della vena femorale comune, localizzata al

livello della piega inguinale previa anestesia locale. Con un piccolissimo catetere si raggiunge in maniera selettiva la vena ovarica

di sinistra o di destra a seconda del lato del varicocele. A questo punto, utilizzando lo stesso microcatetere, vengono posizionate alcune spirali

metalliche biocompatibili ed RM compatibili ed un farmaco sclerosante all’interno della vena fino a determinarne la completa occlusione.

Terminata la chiusura della vena ovarica il microcatetere viene sfilato e viene eseguita una leggera compressione sulla sede di accesso

vascolare per alcuni minuti.

La procedura ha una durata complessiva di circa trenta minuti. L’intervento si esegue in Day-Surgery ovverosia senza pernottamento

in clinica ed il paziente dopo circa 2 ore ora dal trattamento può alzarsi e andare a casa

Le uniche raccomandazioni del post-operatorio sono di non eseguire sforzi fisici intensi per la settima successiva alla procedura.

In tutto il mondo gli studi scientifici affermano che la terapia mininvasiva con ScleroEmbolizzazione è quella che offre i migliori risultati (90% risolutiva) e le minori complicanze mentre la terapia

Chirurgica è da riservarsi solo in quei casi, rari, ove fallisca la terapia di ScleroEmbolizzazione.

FIBROMA UTERINO

Il fibroma uterino, anche detto leiomioma, rappresenta una delle più comuni forme di patologia benigna dell’apparato riproduttivo femminile, nascono dal tessuto muscolare dell’utero e raggiungono dimensioni variabili, può essere piccolo e asintomatico, ma può anche arrivare a dimensioni cospicue provocando sintomi fastidiosi. I fibromi possono essere di tre tipi, in base alla localizzazione vengono suddivisi in:

Fibromi sottosierosi

Si sviluppano dalla parete muscolare verso la sierosa, cioè verso la porzione esterna dell’utero.

Fibromi intramurali

Si sviluppano all’interno della parete uterina, nello spessore intermedio

della parete dell’organo. Sono la tipologia di più comune riscontro.

Fibromi sottomucosi

Si sviluppano appena al di sotto della mucosa uterina. Questo è il tipo

meno comune, ma anche quello che causa il maggior numero di

problemi, come sanguinamenti e dolore

SINTOMATOLOGIA

I sintomi sono strettamente legati alla posizione e dimensione dei

fibromi e possono variare molto a seconda dei casi:

-dolore pelvico, senzazione di massa addomnale

- cicli mestruali inusualmente lunghi o irregolari fino all’anemizzazione

-senso di pesantezza pelvica, gonfiore costipazione

-sensazione(urgenza) di dover urinare spesso(compressione sulla

vescica)

-gonfiore e costipazione (compressione sull’intestino)

TRATTAMENTO EMBOLIZZAZIONE DEL FIBROMA UTERINO

PROCEDURA

L’ embolizzazione del fibroma è una tecnica mininvasiva, valida alternativa della miectomia (asportazione del fibroma) e dell’

isterectomia (asportazione dell’intero utero).

L’embolizzazione si esegue accedendo al torrente vascolare arterioso mediante la puntura dell’arteria femorale comune, localizzata al livello

della piega inguinale previa anestesia locale. Con un piccolissimo catetere si raggiunge in maniera selettiva le arterie uterine da ambo i

lati.

A questo punto, utilizzando lo stesso microcatetere, vengono iniettate microparticelle (grandi come granelli di sabbia) di una sostanza inerte

fino ad ostruire completamente i vasi sanguigni che alimentano i fibromi.

Terminata la chiusura di questi piccoli vasi, il microcatetere viene sfilato e viene applicata una medicazione compressiva (che sarà

mantenuta per 10 ore) sulla puntura d’ingresso all’inguine.

La procedura ha una durata complessiva di circa un’ora. Il fibroma nei mesi successivi all’intervento andrà incontro a necrosi e ad involuzione, fino a trasformarsi in una cicatrice fibrosa.

POST OPERATORIO

L’intervento necessita di due, tre notti di ricovero per la possibile comparsa di dolore post-operatorio che necessita di terapia medica

continuativa. In casi selezionati è possibile il posizionamento di un catetere peridurale per scongiurare il forte dolore post operatorio

IPERTROFIA PROSTATICA

L'ipertrofia prostatica benigna è una delle più comuni patologie che interessano il sesso maschile dopo i 50 anni; infatti superata questa età la prostata inizia un processo di iperplasia determinandone un progressivo aumento volumetrico.

Superati gli 80 anni incidenza di questa patologia è di circa l’80% Il sintomo principale dell'ipertrofia prostatica benigna è la diminuzione della forza del getto urinario in associazione alla difficoltà a iniziare il processo minzionatorio. Un altro sintomo ricorrente è la cosiddetta pollachiuria ovvero l'aumento della frequenza della

minzione; ciò avviene sia nelle ore diurne che in quelle notturne, in quest'ultimo caso si parla di nicturia. Altri sintomi sono il bisogno di

urinare urgentemente.

L’embolizzazione prostatica per il trattamento mini invasivo dell’iperplasia o adenoma prostatico è un intervento indolore relativamente recente in

quanto si applica da ormai più di 10 anni. Diversi sono i centri nel mondo che si occupano di questo innovativo approccio terapeutico.

Il primo caso di embolizzazione prostatica in via sperimentale risale al 2000. Già dal 2008 tuttavia vennero eseguiti alcuni casi oltreoceano

successivamente pubblicati nel 2010. L’embolizzazione prostatica è una tecnica che abbraccia più campi e competenze e viene quindi

eseguita da un team multidisciplinare composto da urologo, radiologo di imaging e radiologo interventista, cioè colui che esegue la procedura

in prima persona.

L’urologo infine può essere fondamentale all’interno del team in quanto questa importante figura è in grado di valutare in ogni fase il

paziente dal punto di vista clinico. Nella fase diagnostica PRE (prima fase) e in quella POST (terza fase) oltre che, va da sé, durante la

seconda fase o fase della procedura mini invasiva eseguita dal radiologo interventista.

EMBOLIZZAZIONE ARTERIOSA DELLA PROSTATA

L’embolizzazione arteriosa è una metodica radiologica di recente introduzione e ad oggi, rappresenta una valida alternativa resezione chirurgica classica.

Tale procedura consiste nell'infusione, attraverso cateteri introdotti nelle arterie prostatiche di particelle embolizzanti. Generalmente viene

eseguito il cateterismo a partenza dall’arteria femorale comune destra, in anestesia locale, e da qui mediante l’utilizzo di cateteri e

guide si raggiunge l’arteria iliaca interna e quindi l’arteria prostatica di entrambi i lati; è

infatti necessaria l’embolizzazione di entrambi i vasi per poter avere

un risultato ottimale.

L’embolizzazione prostatica determina una marcata riduzione della vascolarizzazione di tale organo ed una progressiva riduzione

dimensionale con riduzione della sintomatologia correlata.

La procedura in mani esperte è agevole e richiede una media di 45-75 minuti. Il paziente è vigile e sveglio e non avverte nessun dolore né

durante né dopo l’intervento se non un leggero fastidio in sede

prostatica nell’immediato post operatorio.

La tecnica non richiede cateterizzazione e ha una degenza di una sola notte in clinica se eseguita con accesso dall'arteria femorale altrimenti un semplice day hospital se fatta con accesso dall'arteria radiale. Il decorso post operatorio, a differenza delle tecniche chirurgiche tradizionali è di pochi giorni. Come ormai testimoniato da

numerose evidenze scientifiche.. una grande rivoluzione nel trattamento dell’ipertrofia prostatica.

IMPOTENZA MASCHILE

EMBOLIZZAZIONE DEL PLESSO VENOSO PERIPROSTATICO

La disfunzione erettile è un fenomeno estremamente complesso che può essere causato da molteplici fattori come psicologici, neurologici, ormonali e vascolari.

Fra le varie cause una delle più frequenti è l’impotenza su base vascolare. Questa patologia è data dall’impossibilità a mantenere un'erezione a causa dell’incapacità al mantenimento di un volume sufficiente di sangue all'interno del pene tale da riempire corpi cavernosi.

Questo fenomeno può essere determinato sia da una patologia arteriosa che venosa.

In particolare la disfunzione erettile su base venosa è data da un’incontinenza delle vene di deflusso del membro che non riuscendo a chiudersi totalmente non consentono ai corpi cavernosi a riempirsi completamente, determinando un’adeguata rigidezza del pene.

La disfunzione erettile colpisce più di 100 milioni di uomini nel mondo e 35 milioni in Europa che nella maggior parte non richiedono esplicitamente una terapia, per imbarazzo, paura o per non conoscenza delle possibilità terapeutiche.

La disfunzione erettile non è di per sé una patologia “grave” ma il suo impatto sulla qualità della vita risulta estremamente rilevante, andando ad incidere anche sulle relazioni familiari e interpersonali. Il 15% degli uomini di un’età compresa fra i 35 ed 50 anni presentano un disturbo dell’erezione; di questi il 30% di tipo completo. La

prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età fino al 48% nei soggetti sopra i 70 anni.

DIAGNOSI

La diagnosi di disfunzione erettile da fuga venosa, oltre alla sintomatologia, viene diagnosticata mediante una valutazione iniziale con Eco-Color Doppler.

Questa metodica, non invasiva, consente una preliminare valutazione della funzionalità residua vascolare sia arteriosa che venosa.

TRATTAMENTO EMBOLIZZAZIONE DEL PLESSO PERIPROSTATICO

Attualmente esiste l’opportunità di eseguire un trattamento mini invasivo e pressochè privo di effetti collaterali per il trattamento della

disfunzione erettile da fuga venosa.

Questa nuova metodica si chiama embolizzazione del plesso venoso periprostatico.

E’ una procedura di Radiologia Interventistica assai poco invasiva che viene eseguita in circa 30 minuti.

L’embolizzazione si esegue accedendo alla vena dorsale del pene mediante una puntura ecoguidata con microago.

Un piccolissimo catetere viene introdotto all’interno di questa vena e selettivamente vengono chiuse con particolari materiali totalmente

biocompatibili tutte le vene di deflusso del pene responsabili della fuga venosa.

Terminata la procedura, il microcatetere viene sfilato e viene eseguita una leggera compressione sulla sede della puntura per alcuni minuti.

Questo intervento riduce drasticamente le complicanze dell’intervento classico.

FRATTURE VERTEBRALI

VERTEBROPLASTICA –CIFOPLASTICA

Le fratture vertebrali vengono trattate in molti casi in modo “conservativo”, con conseguenti periodi di ricovero ospedaliero, allettamento prolungato per i pazienti, acquisto con costi non trascurabili di adeguati presidi ortesici (busto) estremamente scomodi da indossare. A questo deve essere aggiunto la necessità di convivere

con il dolore per un periodo di tempo variabile ma difficilmente inferiore ai 45 giorni, dato che purtroppo questo tipo di dolore è mal controllabile in modo adeguato con la terapia farmacologica. Inoltre è necessario considerare che le fratture vertebrali trattate in modo “conservativo” possono esitare in gravi deformità postraumatiche (la

vertebra può arrivare a schiacciarsi completamente sotto il peso) che alterano la biomeccanica del rachide causando una predisposizione ad ulteriori episodi fratturativi nel caso di patologia osteoporotica.

La Vertebroplastica rappresenta una possibilità di trattamento alternativo a quello conservativo: è un intervento percutaneo (cioè senza incisioni della pelle ma eseguito

attraverso un ago) che permette, iniettando un cemento biocompatibile all’interno della vertebra fratturata, di stabilizzare la frattura mettendo il paziente in grado di

alzarsi dal letto dopo poche ore dal trattamento senza necessità di indossare il busto e senza dolore, con un brevissimo ricovero ospedaliero. I vantaggi di questo

tipo di trattamento sono evidenti, evitando al paziente con una procedura di circa 30 minuti a basso rischio, quando eseguita da professionisti esperti, lunghi periodi di allettamento forzato e necessità di indossare busti pesanti, cosa importante in tutti i pazienti ma soprattutto nei pazienti anziani in cui un allettamento prolungato

rende il recupero della autonomia estremamente difficoltoso.

COME VIENE ESEGUITA

Il paziente viene preparato secondo la procedura specifica per gli interventi chirurgici maggiori, comprendente la valutazione preoperatoria degli esami ematici e di laboratorio e la raccolta del 15consenso informato. Poiché la procedura è un atto chirurgico anche se non prevede incisioni con bisturi si porrà grande cura alla sterilità, alla

disinfezione, con la preparazione di un campo operatorio. L’intervento ha una durata di circa 40 minuti All’ingresso in sala operatoria Il paziente viene posizionato sul letto

radiologico in decubito prono, su un particolare letto curvo radiotrasparente che consenta l’impiego dell’apparecchio radiologico durante la procedura.

Si esegue quindi una anestesia locale cutanea e degli strati profondi, dopodichè viene inserito un ago fino all’interno del corpo vertebrale, aiutando la penetrazione all’interno dell’osso con piccoli colpi di un martelletto. Una volta raggiunta e verificata la posizione corretta, sempre con l’ausilio dell’apparecchio radiologico, si procede alla iniezione lenta del cemento biocompatibile all’interno del corpo vertebrale; anche questo momento della procedura viene attentamente controllato radiologicamente. Una volta iniettata la quantità di cemento necessaria , viene rimosso l’ago e dopo la medicazione il paziente è trasferito nella barella per tornare in reparto. Dopo un riposo a letto nelle prime 3/5 ore, il Paziente potrà essere dimesso senza ulteriori necessità di riposo a letto, di indossare busto e sopratutto senza dolore.

Una variante della vertebroplastica è la cifoplastica vertebrale ,che si differenzia dalla precedente perchè l’iniezione di cemento biocompatibile è preceduta dalla creazione all’interno del corpo vertebrale di una cavità con l’utilizzo di un palloncino dilatatore che viene inserito attraverso un ago di grosso calibro posizionato

all’interno della vertebra con una tecnica identica a quella della vertebroplastica.

L’utilizzo del pallocino permette anche di rialzare il corpo vertebrale nel caso di una frattura recente. Come per la vertebroplastica anche tale tecnica , permettendo in modo

pressoché istantaneo la stabilizzazione della frattura vertebrale, permette un completo sollievo dal dolore e una ripresa della normale attività in 24 ore dal trattamento, annullando la necessità di ricoveri prolungati, l’uso di busti ortopedici, risparmiando notevoli sofferenze ai pazienti e un allettamento prolungato che è

predisponente a complicazioni specialmente nell’anziano o nei pazienti affetti da patologia tumorale.

ERNIA DISCALE LOMBARE E CERVICALE

L'ernia discale è il risultato della degenerazione e conseguente dislocazione del disco intervertebrale nel canale rachideo.

Può coinvolgere ogni porzione del rachide, ma prevale nelle regioni lombare e cervicale, a causa della notevole mobilità di tali segmenti, in genere maggiormente sottoposti a

stress meccanico.

L’insorgenza è legata a fattori genetico-familiari (che ne spiegano la frequenza durante l’adolescenza), stress, macrotraumi, microtraumatismi ripetuti, protratte posture viziate, distribuzione non uniforme di carichi sulla colonna, fumo, uso eccessivo dell'automobile, sovrappeso ed alcuni sport (es. sollevatori di pesi e tuffatori).

Il 60 - 80% di tutti gli individui lamenta almeno un episodio di mal di schiena durante la vita: nel 14% dei casi, il dolore dura più di 2 settimane, con un’incidenza lievemente superiore negli uomini.

Tale sintomatologia ha un impatto negativo sulla qualità della vita del paziente, e costituiscono una delle principali cause di assenza dal lavoro rendendo, pertanto

l’ernia discale un reale problema socio-economico.

CLINICA

L’origine della sintomatologia è dovuta sia al danneggiamento del disco in sé, che si manifesta con il classico mal di schiena (cervicale, dorsale e lombare), sia alla sua

dislocazione all’interno del canale vertebrale. In base a quanto disco protrude posteriormente si parla di protrusione o ernia discale. L’impegno del canale può

poi essere centrale, paramediano o foraminale.

Nel caso di compressione sulle radici nervose si distingue una fase iniziale irritativa, caratterizzata da dolore, e una seconda fase subacuta-cronica

caratterizzata da manifestazioni deficitarie, ossia di vero danno sensitivo-motorio a carico delle radici nervose e/o del midollo compressi dall'ernia o dalla

protrusione discale.

Nel caso di compressione del midollo spinale, si può inoltre determinare un quadro di conflitto vascolare acuto, con danno ischemico centro-midollare, o cronico, con

comparsa di gliosi reattiva.

DIAGNOSI

La diagnosi viene fatta durante la visita clinica e confermata dallo Specialista Radiologo alla Risonanza Magnetica, che costituisce la metodica d’imaging di scelta

per lo studio del disco intervertebrale e dei sui rapporti con le strutture circostanti.

I radiogrammi del tratto di rachide interessato e la TC sono utili per una migliore valutazione della componente ossea, permettendo di escludere altre potenziali

cause e sedi d’origine del dolore.

TRATTAMENTI

Il trattamento dell’ernia può essere conservativo (riposo, fisioterapia, farmaci, altro), chirurgico e non chirurgico mini invasivo.

Alla prima presentazione si preferisce un atteggiamento conservativo.

I soggetti nei quali non sia possibile gestire il dolore con i farmaci o con gli altri mezzi conservativi a disposizione, o nei quali siano presenti deficit di tipo

neurologico, possono essere proposti per l’intervento chirurgico.

La chirurgia non sempre è indicata, anche in relazione alle comorbidità del paziente, può non essere risolutiva, è accompagnato da una piccola percentuale di

complicanze e ci possono essere delle ricadute. Tutto ciò ha portato allo sviluppo di tecniche alternative mini-invasive.

Tra queste rientrano le procedure radiologico interventistiche imaging-guidate, che prevedono la “rimozione” percutanea di parte del nucleo polposo mediante

l’uso di una vasta gamma di agenti chimici, termici o meccanici, con lo scopo di ridurre la pressione intradiscale e permettere al materiale erniato di ritornare in

sede o di “sporgere” meno nel canale vertebrale. Le procedure maggiormente utilizzate sono:

Decompressione discale percutanea (PDD) mediante coblazione: l’applicazione di una corrente bipolare a radiofrequenza all’estremità di un ago-sonda che

viene posizionato nel nucleo del disco intervertebrale, permette la rapida rimozione di tessuto discale, che viene vaporizzato per effetto della ipertermia indotta

dalla radiofrequenza (ablazione).

Discogel: è una sostanza polimerica in forma liquida che viene iniettata direttamente all’interno del disco erniato, ove va a riempire tutte le lacerazioni e

fessure create dall’erniazione, e si solidifica in breve tempo riducendo il proprio volume. Questo determina un effetto di trazione meccanica dall’interno del disco

stesso che richiama il materiale erniato, riducendo così l’ernia.

Generalmente le procedure sono eseguite in regime di day Hospital Le prescrizioni post-procedura includono: riposo per i primi 15 giorni dopo il

trattamento ed astensione dal mantenimento prolungato della posizione seduta, dal sollevamento di pesi e dall’eccessiva attività fisica.

Successivamente il paziente può ritornare alle normali abitudini di vita quotidiana.

Farmaci antinfiammatori e miorilassanti possono essere prescritti al bisogno, come co-adiuvanti nel regolare decorso di convalescenza. La possibilità di

associare fisioterapia va generalmente valutata e discussa caso per caso